-
Renato, la vita hippy e Ibiza di una voltaPer favore non usare violenza, ma amore. Ti stupirai della pace che ti regali.
Ibiza, Ibiza. Se ne parla tanto, ma pochi conoscono la vera Ibiza e soprattutto hanno conosciuto quella d’altri tempi, quella degli hippy e degli anni in cui le discoteche non erano la maggior attrazione dell’isola.
Erano gli anni ‘60, quando i primi hippy della California, che da Marrakech in Marocco si recavano a Goa, presero a fare tappa a Ibiza e a trascorrervi estati spensierate.
Ben presto furono seguiti da stilisti e artisti, e in poco tempo Ibiza creò uno stile tutto suo e conosciuto in tutto il mondo, AD LIB.
L’arrivo del fior fiore del jet-set europeo fece nascere le forme più esotiche di vita notturna, che in tempi più recenti si è trasformata nella ribalta più sfrenata d’Europa da questo punto di vista.
Negli anni ‘70 l’avvento dei voli charter e degli aerei di grandi dimensioni determinarono la nascita dei viaggi organizzati. Dopo aver consolidato la sua fama, Ibiza ha cominciato e continua ad attrarre hippy e facoltosi proprietari di yacht, nonchè personaggi famosi da ogni parte del mondo.
INTERVISTARenato – musicista blues, all’inizio degli anni 70 approdava all’Isla e, oggi, ci racconta di un’Ibiza che non conosciamo.Ciao Renato, sai di essere un privilegiato nell’aver conosciuto Ibiza quando ancora era immune dal turismo di massa? Come sei capitato lì la prima volta?
Dunque: ero partito per un viaggio in Marocco. Arrivato in autostop a Barcellona, alla stazione marittima per l’imbarco verso l’Africa, incontrai un gruppo di hippy diretto ad Ibiza. Ne avevo sentito parlare, in un certo senso, ma era fuori rotta, diciamo così. Nel giro di pochi minuti mi dissi che la “rotta” si poteva cambiare dal momento che quando sei solo puoi decidere liberamente. Così, dopo un complesso ragionamento di 5 minuti, mi ritrovai con loro sulla nave per Ibiza. Non pensavo, allora, che quella scelta mi avrebbe portato sulla terra che, da quella volta, sento come “la mia terra”. Sono passati circa 35 anni, ci sono tornato diverse volte e sempre ho sentito la netta percezione che quel luogo fosse casa mia. Oggi ci ritorno per fermarmi, per “mettere su casa” appunto.
Raccontaci dell’atmosfera che si respirava, della gente e della vita ibicenca di quegli anni, di quelle emozioni.
Era una situazione nuova per entrambe le parti, intendo gli ibicenchi ed noi pacifici invasori. Penso che l’isola sia diventata ciò per cui e’ conosciuta nel mondo grazie ad un’innata ospitalità’ degli abitanti, al loro spirito mediterraneo, a quel raro comportamento che si chiama “farsi i fatti propri nel momento in cui ci si accorge che quel tipo strano e’ un bravo ragazzo che ti aiuta nei lavori per un pasto in cambio” o robette simili. Per cui si instaurò un rapporto di convivenza pacifica e ciascuno viveva a modo proprio, senza reciproche interferenze. La sera, ti parlo del mio caso, al bar Anita di San Carlos ci si trovava a quei tavoli, con le immancabili sedie basse, si chiacchierava con gli ibicenchi sino a tardi, si imparava a rispettare le abitudini dei nostri ospiti, tutto in un panorama dai colori un po’ surreali, aggiunti ai nostri “vestiti random”. Sembrava un bazar degno di Istanbul. Americani, francesi, inglesi, tedeschi, olandesi, spagnoli e chi altro che…bla bla bla, non capivi nulla, col tempo poi ti accorgevi di aver capito, e molto ma non con la sola testa.
E della vita hippy cosa ci dici?
Ti parlo di tre situazioni di quella vita. La strada, l’Isola di Wight ed Ibiza, in ordine cronologico.- Sulla strada, mi riferisco agli anni 71/75 nei quali ho viaggiato praticamente sempre, riconoscevi un tuo simile per la sagoma dello zaino che portava sulle spalle e lo nascondeva. Avevamo ricambi di vestiti (il minimo, che non sapendo quanto saresti stato in giro tanto minimo non era!), i più “ricchi”, diciamo che per un viaggio ad Istanbul mettevi in preventivo gli odierni 50 Euro, avevano la tenda e li tampinavi per dormire al coperto la sera. Poi c’era il sacco a pelo arrotolato di traverso ad incrociare la chitarra, indispensabile per tirar su un po’ di soldi e per caricare…le fanciulle. Il tutto edificato su un equilibrio instabile, per cui, indossato lo zaino, procedevi come sulla sabbia. Era ai caselli autostradali, sulle tangenziali percorse a piedi, agli incroci delle grandi arterie che conoscevi gli amici. A volte aspettavi un passaggio più di un giorno. Così facevi amicizia, parlavi una specie di gramlo’ fatto di diverse lingue, ridevi come un matto perché’ la vita era lì con te, dividevi la pappa, il vino..tutto insomma, ci siamo capiti, dormivi a turno e se l’amico era…bionda, carina, ecc ecc non dormivi e tanto meno avevi fretta. Sulla tangenziale di Parigi dividemmo una scatola di piselli crudi in tre, ma e’ solo uno di tanti episodi simili. Non e’ cambiato nulla.
- L’isola di Wight: dieci pagine sarebbero troppe, mi limito a ricordare che, intorno ai cinque giorni e notti di musica rock ininterrotta, ci fu una fiaccolata improvvisata verso la punta del promontorio di Freshwater dove si teneva il festival. Tutti portarono qualcosa da suonare, strumenti e pentole e qualunque cosa producesse un “suono”. Arrivati in cima c’era una sorta di grande terrazza naturale a picco sul mare della Manica.La notte passò in una sorta di trance collettiva, difatti non la ricordo molto se non come la Notte, con la N maiuscola. Nulla di particolare in fondo, solo la sensazione di sentirsi unito agli altri, un infinito senso di pace con i tuoi simili. Non provai più quell’emozione di fratellanza totale.C’erano, lessi poi, circa 500.000 persone che per una settimana in situazioni limite riuscirono a convivere senza usare violenza, senza il principio del mio, del tuo e altre robette simili.
- Ibiza, la nostra isola: arrivato col gruppetto di Barcellona nessuno di noi quindici disse nulla. Ci trovammo a camminare in direzione casuale, penso che nessuno sapesse dove si stesse andando, di fatto non interessava a nessuno o quanto meno, nella nostra testa, sapevamo che ovunque fossimo andati avremmo trovato il nostro posto. Così accadde. Non ricordo quanto camminammo. Arrivammo ad una piccola baia, allora accessibile solo a piedi, con una collinetta alle spalle. Ci sistemammo in quelle che anni addietro erano state stalle per pecore. Ci volle poco a ripulirle. Non c’erano porte o finestre ovviamente ma era una piacevole sensazione poter comunicare tra una …stalla e l’altra. La sistemazione dei sacchi a pelo era del tutto casuale e mutante, unica cosa degna di attenzione era ripararsi la notte in una delle stalle. In effetti non c’era il soffitto, ci si metteva solo al riparo che i muri di pietra offrivano al vento che su quella terrazza giocava forte. Così, sistemato nel sacco a pelo, ti ci infilavi e vedevi dritto il cielo in cui ti perdevi e ti addormentavi fino alle luci del mattino.
Noi che Ibiza l’abbiamo conosciuta negli anni ‘90 fatichiamo a pensare ad un’isola senza alberghi, discoteche e locali ovunque. Com’erano Playa d’En Bossa, Le Salinas, Ibiza e il porto? Oggi sono un agglomerato di servizi turistici chiassosi.
Tutti i luoghi che hai citato sono assolutamente irriconoscibili, ma questo accade ovunque in nome del denaro. Playa d’En Bossa era una playa, e basta. Jam session free la notte, balli, sballi, fino al mattino, un oasi naturale, libera da occupare, si era solo noi ed intorno nulla se non la sola carretera che portava ad ovest verso San Antony e ad est verso Jesus e Santa Eulalia. Non sono un nostalgico, anzi, ma non voglio pensare alla situazione stradale di oggi!!! Della Salinas mi spiace ma non ricordo nulla di rilievo. Certi flash col tempo assumono aspetti mitici e penso di poterci annoverare con questi l’immagine di Ibiza città e del porto che non riesco ad infilare nelle situazione odierna. Come una tessera del Lego ! Non ci sta. Non ci sta tutto il casino di oggi nello spazio ridotto che c’era allora. Per tornare al Lego, una tessera da 4 come la infili nello spazio da 2? Fatto sta che io ricordavo il porto come un porticciolo che pareva posticcio, una piazzola per imbarco sbarco, ed alle spalle le piccole viuzze con qualche bottega. Se guardavi in alto, la Rocca. Tutto li’. Il resto dell’isola andava di pari passo, Solo Sant Antoni aveva già iniziato la sua escalation verso la fine.
E i mercatini di Las Dalias ed Es Canà (Es Canar)? Qual è davvero quello nato dall’Ibiza hippy? Las Dalias?
Ho vissuto un anno e mezzo sull’isola (era il 1994/95), abitavo una casa nei pressi di Puo de Leo, dopo San Carlos nella parte orientale che ritengo la migliore, ma è un giudizio molto soggettivo. Dico questo perchè durante quell’esperienza (suonavo e facevo i mercati) all’ingresso di Es Canà mi resi conto che quel mercato era diventato veramente solo un business. Chiaro che vendere è sempre un affare ma ciò che mi colpì negativamente fu che lo spirito fosse cambiato. Non avrei mai pensato che un hippy mi avrebbe chiesto la tassa per vendere. Lo mandai a ….. e mi resi conto che la parola “hippy”, così magica tempo addietro e che avrebbe dovuto rappresentare un modo di vita off system, fosse diventata proprio solo un’etichetta. Il sabato successivo a Las Dalias, invece, il feeling che si respirava non pareva mutato più di tanto e i profumi degli incensi, la magia naturale, i sorrisi d’intesa, la musica stessa avevano il sapore autentico che conoscevo.
Ora per risponderti non so dirti quale dei due fosse nato prima. Di sicuro Es Canà lo posso definire un mercato cittadino colorato di fiori appassiti. Come avrai capito non sopporto le divise “figli dei fiori”. Preferisco un onesto poliziotto ad un falso frekkettone. Anyway everybody’s free.
Come ci si divertiva? Le notti a Ibiza di allora, duravano fino al mattino come oggi?
Ti rispondo in modo generico nel senso che il divertimento e’ cambiato. Non giudico per principio dal momento che ognuno si diverte come vuole. Ciò che oggi viene superficialmente vissuto come retorico, obsoleto, era lo spirito che si viveva allora. Un fuoco sulla spiaggia, un casino di fantasia per inventare ciò che oggi e’ già confezionato. Insomma, si facevano le stesse cose ma sulle spiagge in non si assisteva alla sfilata di strafighe/i firmati ecc ecc.
Quanto hai vissuto sull’isola? Cosa ti ha convinto a restare?
Come ti ho detto prima ho vissuto un anno e mezzo in una pineta nei pressi di Puo de Leo. Vivere su un’ isola, almeno per me che sono cittadino di terra ferma, e’ una emozione che ha due aspetti in contraddizione. La medesima sensazione di “mare tutto intorno a perdita d’occhio” ti può far sentire isolato o protetto. Io sguazzavo bene nella seconda, forse anche perche’ preferisco essere isolato che in cattiva compagnia. Quindi buon feeling, respiro leggero, serenità. Ecco perche’ mi fermai.Quali sono i tuoi ricordi personali più belli legati a questa esperienza? A quali luoghi sono associati?
Sicuramente la comunione con le altre persone (una decina in tutto) che abitavano con noi (io, la mia compagna e nostro figlio) in quella pineta verso Pou de Leo. Le porte delle case non venivano chiuse, vigeva lo scambio delle necessità (io ti prendo del caffè e ti lascio 1 chilo di spaghetti per dire), molto spesso la sera si cucinava insieme su un fuoco per il quale i figli, felici come solo i bimbi riescono ad essere, iniziavano a raccogliere i rami già dal pomeriggio. Dopo cena musica, suonata, ascoltata, ballata, racconti di avventure, risate dette senza senso, poi, un po’ alla volta, qualcuno si alzava e andava a letto. In genere io mi fermavo a spegnere le braci e rimanevo come ad assorbire quelle buone vibrazioni dello stare insieme. Accanto a me mio figlio, aveva sette anni, si dava un gran da fare per aiutarmi, mi guardava con l’aria interrogativa dei bimbi, crollava dal sonno e, preso in braccio, ce ne tornavamo a casa. Sentivo una grande gioia in me, per quel fagottino che abbracciavo, per averlo portato con noi a conoscere che esiste altro. Ancora oggi (che ha 21 anni) ricorda sereno quel periodo in cui viveva selvaggio, libero e dormiva la notte nella capanna di canne che avevamo costruito insieme. Un grande senso della famiglia e’ condividere con amore questi attimi.
Cosa ha perso Ibiza oggi rispetto a quegli anni?
Lo spirito di Ibiza oggi e’ da cercare negli angoli solitari, come saprai, ma e’ ancora vivo e come tutte le cose, divenute oggetto di ricerca, al loro ritrovamento sono a volte più preziose di prima. Se lo si vuole trovare e’ ancora lì, non ha perso nulla sotto il profilo emotivo, si e’ semplicemente lasciata truccare da prostituta appariscente, con tutto il rispetto, e poi the show must go on.
E’ la gente che e’ cambiata, ma questo e’ un altro discorso.Hai deciso di tornarci a vivere. Non credi che sia troppo cambiata? Ne vale ancora la pena?
Una mia amica dice che quando mette piede in un certo paesino della Bretagna (non ne ricordo il nome) si sente a casa. A me capita con la nostra Ibiza. Per buona sorte incide di più la nostra individualità emotiva della massificazione.Un messaggio a tutti coloro che non hanno potuto assaporare l’Isla in quegli anni?
Se ci vuoi andare regalati almeno qualche giorno in solitaria a girare per le stradine piccole, quelle sterrare, che non sai dove portino.
Ecco proprio lì, quando non sai, trovi l’Isla. Sempre uguale, come ai tempi dei mori invasori. Lo spirito profondo di una persona non cambia e così è per un luogo.“Per favore non usare violenza, ma amore.
Ti stupirai della pace che ti regali.
Scusa questo vecchio hippy, fratello.”
Renato